Le storie del Museo del Calcio: Amedeo Biavati, l’inventore del doppio passo
martedì 24 gennaio 2017
“In fin dei conti il calcio è fantasia, un cartone animato per adulti”.
Parole di Osvaldo Soriano, calciatore prima e scrittore poi, tra le penne più famose del secolo passato. E quale gesto tecnico rappresenta al meglio la fantasia e l’estro su un campo da calcio, se non il dribbling? Un gesto capace di unire insieme arte e poesia.
Una delle finte più belle da vedere, capace di disorientare qualsiasi difensore - se eseguita in modo impeccabile - è sicuramente il doppio passo. Ma dove nasce questo gesto tecnico? E qual è stato il primo giocatore a provarlo e metterlo in pratica su un campo di calcio?
Gli storici del pallone sono concordi nel dire che il padre del doppio passo sia stato Amedeo Biavati: ala destra dal primo passo fulminante,fece la storia del Bologna e, soprattutto, della Nazionale italiana negli anni ’30. Cresciuto calcisticamente nel Bologna, Biavati faticò non poco inizialmente prima di diventare titolare della squadra rossoblu. Il merito fu di un allenatore storico come Weisz che, grazie anche all’infortunio dell’ala titolare Maini, intuì il potenziale di Biavati e lo battezzò come ala pura sulla fascia destra. Nel giro di sei anni, grazie ai suoi scatti sulla fascia e ai suoi cross millimetrici, Biavati fu uno dei protagonisti del Bologna che conquistò quattro scudetti tra il 1935 ed il 1941. La consacrazione internazionale di Biavati- e del suo doppio passo - arrivò con la maglia azzurra nel Mondiale di Francia del 1938. Inizialmente l’ala non trovò spazio tra gli undici di Pozzo, ma ebbe la sua occasione nei quarti di finale contro la Francia, quando fu schierato titolare. L’Italia batté i padroni di casa per 3-1 e arrivò fino alla finale, contro l’Ungheria, sempre con Biavati titolare: nell’atto finale della manifestazione, contro i magiari, gli uomini guidati da Vittorio Pozzo vinsero per 4-2, consegnando così la seconda Coppa del Mondo alla storia azzurra.
L’ala di Bologna proseguì la sua carriera in Nazionale e proprio l’anno successivo realizzò quello che viene considerato il suo gol più bello in carriera.
Era il 13 maggio del 1939 e l’Italia stava affrontando l’Inghilterra in amichevole a San Siro. Sul punteggio di 1-0 per gli ospiti, Biavati prese palla sulla fascia destra e iniziò una corsa inarrestabile. Dopo 40 metri di fuga, l’ala azzurra si trovò davanti Eddie Hapgood, terzino dell’Arsenal, considerato uno dei giocatori più forti dell’epoca in quel ruolo: ripetendo due volte il suo doppio passo, lo beffò. Poi, trovatosi davanti al portiere, Biavati non fece altro che appoggiare il pallone in rete. Un dribbling talmente bello ed entusiasmante che lo stesso Hapgood si complimentò con l’azzurro, fermandolo e stringendogli la mano prima della ripresa del gioco.
Nel corso della storia, il doppio passo ha avuto grandi interpreti, soprattutto brasiliani: da Garrincha a Ronaldinho, da Denilson a Ronaldo. Ma il gesto tecnico di Biavati non solo ha ispirato altri giocatori, ma anche artisti. Uno su tutti: Pier Paolo Pasolini.
Prima ancora della letteratura, Pasolini - da ragazzo, nella sua Bologna - rimase incantato da una forma d’arte, da un gesto rivoluzionario e precursore: l’immarcabile doppio passo di Biavati.
In copertina la maglia di Biavati esposta al Museo del Calcio di Coverciano (www.museodelcalcio.it)