
Bonucci sogna da allenatore: "Se dovesse scattarmi quel fuoco dentro, un giorno mi piacerebbe guidare la Nazionale"
L'ex difensore della Juventus, oggi assistente allenatore della Nazionale Under 20, si racconta a Vivo Azzurro TV: dagli inizi a Pianoscarano al trionfo europeo di Wembleymercoledì 30 aprile 2025

"Il calcio è il lavoro più bello del mondo... se impari a toglierti le pressioni di dosso". Così parla Leonardo Bonucci, oggi assistente allenatore della Nazionale Under 20 guidata da Bernardo Corradi, ieri colonna della Juventus (502 presenze e 35 reti) e della Nazionale (121 presenze e 8 reti), con la corazza d'acciaio e il cuore sotto la maglia, che proprio domani compirà 38 anni. Lo racconta ai microfoni di Vivo Azzurro TV, come chi ha imparato a convivere con l'urto del vento, con la solitudine dello spogliatoio, con il rumore delle opinioni, decidendo di restare in piedi. Sempre.

La sua è una carriera fatta di contrasti, non solo in campo, ma anche nella vita. È stato applaudito e fischiato, idolatrato e discusso, abbracciato e respinto. Eppure, Bonucci non ha mai chiesto il permesso per essere sé stesso. Schietto, 'capoccione', come si definisce proprio lui ripensando ai tempi in cui, da bambino, insisteva per voler giocare a pallone con il fratello Riccardo e i suoi amici, "nonostante fossero più grandi", nel quartiere medievale di Pianoscarano, a Viterbo. In quegli angoli di pietra è nata una mentalità che non avrebbe mai conosciuto resa.
L'apice? Wembley, 11 luglio 2021. Campione d'Europa. "Vincere con la maglia della Nazionale è il sogno di tutti i bambini che giocano a calcio - confessa Bonucci, autore del gol del pari in quella finale (Italia-Inghilterra 1-1, 4-3 dtr) -. Personalmente è stata la ciliegina sulla torta della mia carriera". Quello storico successo non era solamente calcio. Era la luce dopo il buio della pandemia, con una squadra che giocava con il sorriso a fare da antidoto alla paura.
E in quell'Europeo c'era anche un uomo in più: Gianluca Vialli. "Quando parlava - ricorda emozionato e con gli occhi pieni di gratitudine - percepivi un'energia diversa, e ogni discorso che faceva ti lasciava sempre un grande insegnamento".
Nel mezzo, la famiglia. Martina, sua moglie, "il mio porto sicuro", e i figli Lorenzo Filippo (2012), Matilda (2019) e Matteo Marco (2014), quest’ultimo, piccolo guerriero come il papà, che ha dovuto affrontare un problema di salute a soli due anni. "In quei momenti capisci cos'è davvero importante - sottolinea commosso -. Martina è stata fondamentale, trasmettendomi quella serenità necessaria per riuscire a scendere in campo. Oggi Matteo sta bene (gioca a calcio nella CBS Scuola Calcio di Torino, ndr), e noi guardiamo al futuro con il sole negli occhi".

Bonucci ha sempre vissuto il calcio con un'urgenza emotiva e non ha mai nascosto le sue debolezze, neanche quando, nel 2008, si rivolse a un mental coach, molto tempo prima che diventasse una figura riconosciuta anche nel mondo del calcio. "Mi davano del debole - racconta - ma non mi interessava, perché sapevo che stavo facendo la cosa giusta per me".
Oggi, dopo aver annunciato quasi un anno fa la fine della sua carriera da calciatore si prepara "forse" a diventare allenatore, con la stessa onestà che lo accompagna da sempre. "L'idea c’è - confessa sorridendo -. Al momento sto studiando per prepararmi al corso UEFA A, che mi consentirebbe di poter allenare le formazioni giovanili fino all'Under 20 e le Prime Squadre in Serie C. Se dovesse scattare davvero quel fuoco dentro, quello stesso fuoco che mi ha spinto a voler fare il calciatore, l’obiettivo sarà quello di guadagnarmi la possibilità di allenare un giorno una grande squadra, magari anche la Nazionale".
E se un giorno guiderà una squadra, proverà a fondere due mondi opposti: l'animato Antonio Conte e il calmo Roberto Mancini. Perché, come sa bene chi ha indossato la maglia azzurra più di cento volte - quarto di sempre con 121 presenze e 8 reti -, non basta sapere. Bisogna anche ascoltare. E Bonucci, quello, lo ha sempre fatto. "Ho avuto la fortuna di essere allenato da grandi allenatori, ma se dovessi sceglierne due come punti di riferimento per un possibile futuro in panchina sarebbero Antonio e Roberto. Caratteri completamente diversi, ma tatticamente mi hanno insegnato tanto".
Per Bonucci, nel calcio, non ci sono mai state scorciatoie. Solo scelte, spesso scomode ma sempre sue. Dalla BBC (Barzagli-Bonucci-Chiellini) che ha scritto la storia della Juventus e della Nazionale, "a cui aggiungerei la B di Buffon", agli errori che hanno insegnato più delle vittorie: "Non ho rimorsi, né rimpianti". Ed è forse questo, alla fine, il suo trofeo più grande.