A Danzica il prof. Ferretti festeggerà le 200 partite in azzurro: “Un’avventura meravigliosa”
Medico della Nazionale dal Mondiale di Italia ‘90, ha operato alcuni dei più grandi campioni del nostro calcio: “A volte le insidie nascono dagli infortuni apparentemente più lievi”venerdì 9 ottobre 2020
Non capita a tutti di poter festeggiare le 200 ‘presenze’ in Nazionale. Se tra i giocatori Gigi Buffon, recordman di presenze in Azzurro, è fermo a quota 176, il prof. Andrea Ferretti raggiungerà domenica a Danzica il prestigioso traguardo delle 200 partite al seguito della Nazionale. Fiorentino classe 1951, attuale responsabile dell’Area Medica della FIGC, è entrato in Federcalcio nel 1990 dopo essere stato medico delle Nazionali italiane di Basket e Pallavolo. E proprio nel mondo del volley si è fatto apprezzare anche da giocatore, vincendo lo scudetto nel 1975 con l’Ariccia, un titolo bissato due anni dopo stavolta come allenatore della Federlazio Industrie: “Quando il presidente Matarrese e il segretario generale Petrucci mi chiamarono, come traumatologo, ad affiancare il prof. Vecchiet sulla panchina della Nazionale Italiana per il Mondiali del 1990 – racconta - non avrei mai immaginato che quella che avrebbe dovuto essere una breve e limitata presenza, sarebbe stata solo l’inizio di una così lunga ed importante esperienza, tale da influenzare in modo determinante tutta la mia carriera professionale”.
Professore Ordinario di Ortopedia e Traumatologia e Direttore della Scuola di Specializzazione Ortopedia e Traumatologia all’Università ‘La Sapienza’ di Roma nonché Direttore del Dipartimento di Emergenza e dell’Unità Operativa Ortopedia e Traumatologia all’Ospedale S. Andrea di Roma, Ferretti è autore di oltre 250 pubblicazioni sulle più prestigiose riviste di ortopedia e traumatologia e di presentazioni scientifiche ai più importanti congressi del settore. “Il sentimento che ho provato all’inizio – sottolinea - e che provo ancora oggi ogni qual volta mi siedo su quella panchina è quello di una grande responsabilità. Come chirurgo sono abituato ad assumermi quotidianamente importanti responsabilità, ma nel caso del medico della Nazionale si tratta di un contesto completamente diverso, che investe non solo gli atleti come pazienti e il loro entourage, ma milioni e milioni di tifosi e spettatori che seguono con passione le sorti degli Azzurri”.
Tantissimi gli interventi chirurgici effettuati, a volte decisivi per preservare la carriera di quei campioni che hanno fatto la storia della Nazionale: “Nel corso di trent’anni di collaborazione con la FIGC, di cui quasi venti di panchina, ho avuto modo di conoscere tanti allenatori e centinaia di giocatori. Da ognuno ho avuto e imparato qualcosa che mi ha arricchito e ad ognuno ho cercato di trasmettere le mie conoscenze di traumatologo e medico sportivo. Certo, essere stato atleta di alto livello, anche se in altra disciplina, e avere peraltro sofferto di serie problematiche infortunistiche mi ha facilitato soprattutto in occasione dei casi più difficili che mi sono capitati nel corso di questi anni: potrei ricordare gli episodi di Baresi ai Mondiali 90, dello stesso Baresi e Baggio a USA 94, di Nesta ai Mondiali 98 e 2002, di Materazzi in Ungheria nel 2007, i due gravi infortuni di Conte a Perugia e negli Europei del 2000. Per non parlare degli interventi chirurgici alla caviglia e al ginocchio di Cannavaro e Barzagli da me organizzati e praticati a Vienna, durante gli Europei, su indicazione del Real Madrid e del Wolfsburg. Ma non sono sempre i casi apparentemente più gravi quelli più difficili: talora le insidie nascono dagli infortuni apparentemente più lievi, che possono improvvisamente aggravarsi nel corso delle partite prolungando anche di molto i tempi di recupero della piena efficienza fisica. Ed è su questi che dobbiamo essere costantemente concentrati, senza mai trascurare alcun particolare”.
“Un altro aiuto – aggiunge - mi è venuto dal mio ruolo di professore universitario, grazie al quale sono costantemente a contatto coi giovani, studenti e specializzandi, dai quali ricevo sempre nuovi stimoli all’aggiornamento, al progresso e alla ricerca. La ricerca è stata sempre un mio pallino e non ho smesso di praticarla anche in Nazionale, cercando di utilizzare al meglio ogni occasione di approfondimento clinico o di possibilità di contatto internazionale. Certo, non è stato facile conciliare il ruolo di medico della Nazionale con le responsabilità di assistente prima e direttore poi di un reparto di un grosso Ospedale Universitario. Se ci sono riuscito è grazie soprattutto all’aiuto e al supporto costante della mia famiglia, e di mia moglie in particolare, che ha sempre accettato le mie scelte anche a costo di sobbarcarsi da sola il compito della gestione familiare e dell’educazione di mio figlio. E di questo non finirò mai di ringraziarla”.
L’elenco dei ringraziamenti non si ferma qui: “Ora che mi avvicino alle duecento panchine, unico medico della FIGC a raggiungere questo prestigioso traguardo, sento il dovere di ringraziare tutti coloro che in questi anni mi hanno dimostrato la loro stima nel confermarmi nel mio ruolo e che mi hanno aiutato nel mio lavoro: penso ai presidenti e ai commissari, agli allenatori, ai segretari, ai fisioterapisti, ai colleghi medici che ho avuto al mio fianco in questa meravigliosa avventura che, in tutta onestà, da giovane medico, tifoso, e da sempre grande appassionato di sport non mi sarei mai immaginato di vivere”.