Tappa Livornese per il Progetto "Non Solo Piedi Buoni"
24 novembre 2024
martedì 26 novembre 2024
Mi chiamo Cristian e sono il terzino destro della squadra Allievi del Don Bosco Fossone. Ho iniziato a giocare a calcio a livello agonistico molto tardi, quando avevo già 12 anni. Prima avevo provato altri sport, come atletica leggera ed equitazione, sempre nella scia di mia sorella maggiore. Il calcio per me fino alla fine delle scuole medie era solo gioco libero: soprattutto le partitelle di pomeriggio con gli amici e senza gli adulti nel campetto pubblico del mio paese, Castelnuovo Magra, proprio al confine fra Toscana e Liguria. Poi 4 anni fa si sparse la voce di una squadra tutta nuova della mia classe di età, a Fosdinovo. Cercavano ragazzi per completare la rosa, c’erano dei miei amici lì, e così decisi di buttarmi. Il campionato a livello di classifica andò malissimo, ma per me invece fu meraviglioso, perché scoprii di avere una grande passione che da lì in poi non ho più abbandonato. L’anno successivo ho cambiato squadra, trasferendomi al Don Bosco Fossone, dove sono tuttora. Qui mi sono misurato con una squadra più organizzata e più forte, ed è stato bello accorgermi di migliorare piano piano e di ritagliarmi il mio spazio in campo. Non sono un talento a livello tecnico, quindi la mia qualità principale è il saper ricoprire ruoli diversi: in questi anni ho giocato sia in difesa, sia a centrocampo, e una volta pure in porta quando eravamo rimasti senza il portiere e le sostituzioni erano finite. Il gol per me è un’emozione rara, visto che gioco quasi sempre in difesa, e proprio per questo molto forte, bellissima e impossibile da dimenticare. Finora ho fatto due gol in partite di campionato, uno quest’anno e uno l’anno scorso, e tutte e due le volte è capitato alla prima giornata. Quando gioco do tutto quello che ho, sia a livello fisico sia a livello emotivo. Quando vinciamo provo una felicità senza limiti. Quando perdiamo ci resto davvero male. Sono contento di giocare nel Fossone: fra le varie squadre di Carrara mi sembra una delle più organizzate. Gli allenatori e i dirigenti ci tengono a ognuno di noi, non solo in quanto giocatori ma soprattutto in quanto ragazzi. Una dimostrazione è il progetto della Figc che i dirigenti ci hanno proposto quest’anno e al quale anche io oggi ho partecipato insieme ad altri due miei compagni. Dall’inizio di ottobre la nostra squadra sta andando a passare diversi mercoledì pomeriggio in compagnia dei nonni di un circolo pensionati di Marina di Carrara. Prima di entrare nel circolo mi aspettavo sinceramente di fare un’attività noiosa. Invece una volta dentro è stato facile fare amicizia.
Dopo aver scambiato qualche parola di presentazione con i nonni seduti ai tavolini del bar, ci siamo spostati in una sala dietro il bar dove si ritrova il gruppo dei pensionati appassionati di poesia. E lì ci ha dato il benvenuto Giorgio, il protagonista di questo nostro pomeriggio insieme ai nonni carrarini. Giorgio ci ha parlato del suo lavoro di spedizioniere doganale, del tempo in cui il porto di Marina di Carrara era molto meno meccanizzato e molto più pieno di operai portuali a scaricare e caricare cassoni di merce. Ci ha raccontato delle brutte sorprese che a volte i controlli alla dogana gli presentavano: “Una volta trovammo dentro un cassone il cadavere di un uomo di colore, forse un migrante clandestino, una rarità negli anni 70. Fu il giorno più drammatico della mia vita lavorativa. Il mio lavoro comunque era bello e movimentato, sempre in simbiosi con il porto: gli equipaggi delle navi piene di persone straniere con cui scambiare due chiacchiere, le merci più svariate da controllare, e poi le tante persone comuni che si intrufolavano per rubacchiare qualcosa: a quel tempo nel porto non c’erano mica i tornelli o le schede magnetiche da esibire all’ingresso…”. Poi siamo saliti in macchina, e Giorgio ci ha portato nel quartiere Caina, l’ultimo rione di Carrara arrivando dal mare, incastonato negli spazi stretti di un vallone dentro il quale scorre anche un torrente. Lì dove finisce la città e inizia la montagna c’è la vecchia casa dove Giorgio è nato e cresciuto: esiste ancora, siamo stati a vederla da fuori. Giorgio ci ha raccontato i tanti giochi che faceva da bambino e da ragazzino: le barchette costruite con materiali di scarto e fatte viaggiare a pelo d’acqua dentro il torrente, e poi i lunghi racconti dei film fatti ad alta voce a tutta la compagnia dall’unico ragazzino del quartiere che aveva i soldi per andare spesso al cinema, e poi le serate insieme in una bettola a guardare una tv piccolissima con tante persone intorno, fino alle guerre simulate e un po’ pericolose fra le bande di ragazzini provenienti da quartieri confinanti… Giorgio è molto bravo a raccontare queste storie. Non a caso una decina di anni fa ha scritto un libro raccogliendo tutti questi racconti della Carrara di tanti anni fa, e scrivendoli sia in dialetto carrarino sia in italiano. Dei racconti di Giorgio mi ha colpito tutta la libertà che le mamme e i babbi di allora davano ai bambini delle elementari: bimbi liberi di girare per la nostra stessa città, ma senza i genitori appresso. Mi ha colpito soprattutto la risposta di Giorgio a questa nostra annotazione. “Sì, è vero che le nostre mamme non ci seguivano. Ma erano tranquille lo stesso, perché sapevano che tutti gli adulti del quartiere avrebbero avuto un occhio di attenzione per noi. Tutte le mamme di Caina si sentivano in dovere di rimproverarci e di aiutarci anche se il bimbo da rimproverare o da aiutare non era il proprio figlio. Ciascuno di noi era in un certo senso figlio di tutto il quartiere”. E’ una bella immagine, questa. Un paese o un quartiere dove tutti si preoccupano per tutti. Un po’ come lo spirito di squadra, ma applicato a tutto l’ambiente in cui viviamo. Voglio avere anch’io gli occhi attenti e premurosi (il contrario di indifferenti) delle mamme di Caina di cui oggi ci ha raccontato Giorgio.
by Tommaso Giani