Toscana

Diario dal progetto Non solo piedi Buoni - interview con Gabriele Bragazzi.

mercoledì 20 novembre 2024

Diario dal progetto Non solo piedi Buoni - interview con Gabriele Bragazzi.

Mi chiamo Gabriele e sono un difensore centrale della squadra Allievi under 17 del Don Bosco Fossone. Fra i primissimi ricordi che ho legati al calcio ci sono dei sabati e domeniche pomeriggio all’età di 6-7 anni, quando il mio babbo per farmi divertire mi portava di nascosto dentro il campo scuola di atletica di Marina di Carrara. Non avevamo il permesso, ma babbo mi ci portava lo stesso: non per correre, ma per giocare a calcio io e lui sul grande prato all’interno della pista di atletica. Il mio babbo non è un grande appassionato di calcio. Mi portava a giocare a pallone in quell’impianto sportivo vuoto e bellissimo semplicemente perché mi voleva bene. E’ uno dei ricordi più belli e potenti della mia infanzia che mi sono rimasti anche a distanza di anni: io e babbo soli in quel prato grande (e che al bambino che ero sembrava davvero infinito) a correre come in una prateria e a fare uno contro uno, passaggi di prima e tiri al volo fino a quando il custode non veniva a rompere la magia, facendoci un urlaccio e mandandoci via dal campo. Nel frattempo che babbo mi portava a fare a passaggi nel campo di atletica deserto, io ho provato negli anni delle elementari diversi sport a livello agonistico: il calcio, poi le arti marziali (sport preferito di mio padre) e infine tornando al primo amore del pallone. Ricordo ancora il mio primo giorno al Don Bosco Fossone: avevo 10 anni e non conoscevo nessun bambino. Ricordo le urla di benvenuto degli altri bimbi, gli abbracci e le ovazioni che assolutamente non mi aspettavo e che mi hanno insegnato negli anni futuri com’è che si accoglie in squadra un nuovo arrivato. Il primo anno ho fatto il portiere, ma divertendomi poco. Così l’anno successivo ho chiesto all’allenatore di spostarmi in difesa. Il mio stile di gioco? Non sono certo un macellaio, mi piace avere il pallone fra i piedi e far partire l’azione; mi piacciono anche i duelli fisici con l’attaccante di turno, ma a fine partita mi piace stringergli la mano. La cosa che mi piace di più del calcio è il fatto che è uno sport davvero universale, il più facile da praticare in un gruppo di ragazzi. Il bello del calcio è nei pomeriggi di gioco libero al campetto della chiesa, quando un bambino o un ragazzo osserva gli altri che giocano, e subito viene naturale per gli altri farlo entrare: e anche se fino a un attimo prima non ci si conosceva, a un certo punto si diventa improvvisamente compagni di squadra. La cosa che invece mi piace di meno del calcio sono i comportamenti sopra le righe dei genitori: ora che nella nostra categoria siamo diventati grandicelli e l’agonismo comprensibilmente è cresciuto, sento che il comportamento dei genitori che ci guardano sta peggiorando. Quando un genitore si comporta male, provocando, offendendo e scatenando risse, l’unica cosa da fare secondo me per il presidente della squadra è dirgli: devi smettere di venire a vedere le partite. Non lo fa quasi nessuno, purtroppo. Ma i dirigenti della mia squadra, il Fossone, lo hanno fatto qualche anno fa con il genitore di un nostro compagno che davvero si comportava male avvelenando il clima di ogni partita. Immagino che per un presidente dire a un genitore “per favore non venire più” sia difficile. Fra l’altro c’è il serio rischio che il genitore oltre a non venire più lui porti via dalla squadra anche suo figlio che non c’entra niente coi comportamenti sbagliati del padre. Però secondo me è l’unica cosa da fare, per dare un messaggio a tutti gli altri genitori e per salvare il divertimento dei ragazzi. Sono orgoglioso che la mia società abbia avuto il coraggio di fare una scelta così dolorosa ma necessaria.
E sono contento, oggi posso dirlo, che la mia società abbia scelto noi degli Allievi per partecipare al progetto Figc “Non solo piedi buoni”. Posso dirlo perché oggi al gemellaggio con i nonni del circolo pensionati di Marina di Carrara ho partecipato anche io. Protagonista del nostro pomeriggio è stato il signor Pietro, che ci ha raccontato la sua storia e poi ci ha guidato in una passeggiata alla scoperta di un luogo di Marina che conoscevamo bene ma di cui non sapevamo niente riguardo le sue origini. Pietro Marina di Carrara la conosce come le sue tasche perché ha lavorato per una vita nei cantieri navali del porto. E poi perché ha sposato Carla, una marinella doc, ed è andato a vivere con lei in una casa vicino al mare. Pietro ci ha portato alla scoperta dell’istituto nautico e della scuola elementare di Marina di Carrara accanto all’area della fiera. A me e ai due miei compagni di squadra che mi hanno accompagnato sembrava un complesso scolastico vecchio, punto e basta. Pietro invece ci ha spiegato che quei palazzi furono costruiti alla fine dell’800 e nacquero come colonie estive per le vacanze al mare dei figli dei contadini delle risaie di Vercelli. Poi, dopo la seconda guerra mondiale, in quelle ex colonie sono state ospitate centinaia di persone fuggite dalla Croazia dove nel 1946 si rischiava la persecuzione per il solo fatto di parlare italiano. Pietro ci ha raccontato che tante di quelle ragazze e ragazzi croati sono rimasti a Carrara, si sono sposati qui e sono diventati italiani. Tanti di loro, ci ha spiegato ancora Pietro, decisero di cambiare cognome per nascondere le loro origini slave di cui in realtà non ci sarebbe stato niente di cui vergognarsi. O forse gli episodi di razzismo, seppure diretti a tipi di stranieri diversi da quelli di oggi, c’erano anche 80 anni fa. Chissà che fra i nonni e bisnonni dei miei conoscenti o amici carrarini non ci sia qualche profugo croato del dopoguerra arrivato qui a Marina dopo aver perso tutto. Sono sicuro che nessuno degli studenti carrarini della mia età, neanche quelli che vanno al Nautico, immaginano che quei muri e quelle classi un tempo erano camere che hanno ospitato prima bambini piemontesi in vacanza e poi famiglie italo-croate in fuga dalla persecuzione. Grazie a Pietro e a questo progetto ho imparato una pagina di storia della mia città, e ho trovato un amico speciale con i capelli bianchi.

by Tommaso Giani