Toscana

Diario dal progetto Non solo piedi Buoni - interview con Agusto Morosi.

sabato 2 novembre 2024

Diario dal progetto Non solo piedi Buoni - interview con Agusto Morosi.

Mi chiamo Massimo e sono un centrocampista della squadra Allievi Under 17 dell’Orlando Calcio. Il mio babbo è italiano e la mia mamma brasiliana. E anche la mia storia è ambientata in due luoghi diversi: l’infanzia a Goiania, una cittadina non lontana da Brasilia, e l’adolescenza a Livorno. La mia biografia a metà fra due continenti è frutto delle scelte di vita dei miei genitori, che in un primo momento pensarono di vivere e di lavorare nella terra di origine di mia mamma, mentre più o meno alla fine delle mie scuole elementari brasiliane decisero insieme a me di spostarsi nella città dei 4 mori dove viviamo ancora oggi. I miei genitori non mi imbrogliarono al momento del trasloco: mi spiegarono fin dall’inizio che in Italia non avremmo fatto una vacanza ma ci saremmo trasferiti a Livorno per sempre. Per me non fu facile lasciare i miei amici e cambiare modo di vivere. Anche se Livorno è di sicuro la città più spumeggiante e chiacchierona della Toscana, il confronto con il Brasile fu impietoso soprattutto nei miei primi mesi in Toscana: le persone sia nella nuova scuola sia per strada mi sembravano più tristi, il clima più freddo, e nei bar di Livorno non c’era la pamonha (una polenta fritta che si mangia dentro una pannocchia come cibo da strada) ma il cinque e cinque (per i non livornesi, il panino tondo con la torta di ceci). Per fortuna che ad aiutarmi nell’ambientamento ci ha pensato il mio gioco preferito, cioè il calcio. Da Goiania a Livorno ho cambiato squadra ma non ho perso nemmeno un mese di allenamenti e di partite. Il calcio giovanile a Livorno è molto diverso dalla scuola calcio del Botafogo dove giocavo negli anni delle elementari: a Livorno l’agonismo è molto più elevato, c’è più pressing e ci sono più falli. Così il mio modo di giocare è cambiato: da bambino ero un po’ più tecnico e raffinato, mi piaceva tanto cercare il dribbling; qui a Livorno invece mi sono trasformato in un mediano più di sostanza, che in primo luogo cerca di proteggere la difesa. Dalla mia infanzia in Brasile in compenso non ho perso la passione per tirare i calci di rigore. Sono uno dei pochi ragazzi della mia età che riesce a guardare il portiere fino all’ultimo, per vedere se si muove un attimo prima e spiazzarlo, tenendomi sempre pronta nello stesso tempo la soluzione di riserva nel caso che il portiere resti fermo. Se sai guardare il portiere fino all’ultimo di rigori se ne sbagliano pochi, e neanche i rigori più decisivi ti fanno tremare le gambe. Io ne ricordo uno, di questi rigori pesanti, che andai a battere contro l’Atletico Portuale proprio all’ultimo minuto: anche lì, portiere spiazzato. E poi, oltre alla capacità di guardare il portiere prima di battere un rigore, del mio dna brasiliano qui a Livorno mi sono portato dietro la serenità come stile di vita e di gioco: nelle partite del nostro campionato, qui all’Orlando, spesso succede che i ragazzi si innervosiscano e inizino a dirsele di tutti i colori. Io per carattere cerco invece di non perdere la gioia di vivere e di giocare a calcio, anche dentro situazioni di forte nervosismo. Cerco anche, per quello che posso, di aiutare i miei compagni e gli avversari a non avvelenarsi e a chiudere le polemiche prima che l’arbitro sia costretto a tirare fuori i cartellini. Però ci riesco e ci provo solo fino a un certo punto, perché non tutte le litigate in campo sono pericolose. Ai livornesi un po’ piace prendersi a male parole, e sotto sotto non c’è malizia e non c’è reale volontà di offendere, in certe parole sopra le righe che scappano ai ragazzi in campo. Questa cosa tutta livornese l’ho capita con il tempo, e mi fa sorridere.
In questa quinta stagione con la maglia dell’Orlando, dove ogni anno ho la fortuna di vedere la mia squadra migliorare sempre di più sia nel gioco sia nel piazzamento in classifica, oltre al campionato abbiamo un obiettivo stagionale aggiuntivo. No, non è la Champions né la coppa Italia. E’ il progetto Figc “Non Solo Piedi Buoni”, che da un mesetto ci sta portando ogni venerdì pomeriggio alla casa famiglia di Quercianella per stare insieme alla decina di bambini che abitano lì e alle tante educatrici e animatrici che li seguono con affetto e attenzione. A me è sempre piaciuto giocare con i bambini, quindi la proposta del mister l’ho appoggiata fin da subito. Come in tutte le esperienze che si conoscono di persona, anziché leggerle su un libro, mi sto accorgendo di imparare tante cose. Nel mio immaginario, una casa famiglia per bambini che vivono lontano dai loro genitori me la immaginavo come un luogo molto serio e triste. Invece è un posto dove i sorrisi non mancano mai. Mi ha colpito molto lo staff delle educatrici: molto organizzate, con tutti questi bimbi di diverse età, con diversi orari e diverse esigenze; chi beve il latte al biberon, chi mangia la pizza, chi fa il disegno dell’asilo e chi la lezione delle medie… Però vedo anche tante coccole e tanta tenerezza. E poi mi ha colpito la vivacità dei bimbi, la loro voglia di giocare, di interagire, di conoscermi. E’ bello verderli con gli occhi così vivi, soprattutto se immagino le situazioni familiari difficilissime da cui questi bimbi provengono e da cui si sono dovuti allontanare. Noi ragazzi dell’Orlando per aiutare questi bimbi con la nostra presenza del venerdì possiamo mettere un piccolo tassello: la nostra voglia di stare bene insieme a loro, e anche la nostra presenza maschile, che nella casa famiglia mi sembra preziosa, vedendo che tutte le educatrici e le animatrici dello staff sono donne. Allo stesso tempo penso che i bimbi della casa famiglia abbiano tanto da dare a noi: io sono convinto che anche noi grandi dovremmo conservare qualcosa del nostro essere stati bambini; penso in particolare alla spontaneità, al vivere senza i filtri dei social, senza maschera, a presentarci agli altri così come siamo. In questi pomeriggi a Quercianella ci si ricorda che tanti problemi sul “che figura ci faccio” che ci bloccano nella vita di tutti i giorni, se si torna bambini anche solo per poche ore scompaiono. Resta solo il bello dello stare insieme, che è l’unica cosa che conta davvero.

by Tommaso Giani