‘Hall of Fame’, fischia Rocchi: “Più facile arbitrare che fare il designatore”
L’ex arbitro fiorentino, attuale designatore della CAN A e B, entra a far parte della ‘Hall of Fame del Calcio Italiano’: “Sono contentissimo, non avrei mai pensato di ricevere questo premio”giovedì 31 marzo 2022
Con 263 partite all’attivo è al secondo posto nella classifica di tutti i tempi di gare dirette in Serie A alle spalle di un’icona del mondo arbitrale come Concetto Lo Bello. Premiato due volte come miglior arbitro italiano nelle stagioni 2017/2018 e 2018/2019, Gianluca Rocchi fa ora il suo ingresso nella ‘Hall of Fame del Calcio Italiano’ raggiungendo una schiera di colleghi illustri, da Luigi Agnolin a Paolo Casarin, da Pierluigi Collina a Roberto Rosetti e Nicola Rizzoli: “Sono contentissimo e orgoglioso di ricevere questo premio – dichiara il quarto miglior arbitro al mondo nel 2019 secondo la classifica dell’IFFHS – non avrei mai immaginato di poter entrare nella ‘Hall of Fame’. I nomi dei premiati che mi hanno preceduto rendono l’idea dell’importanza di questo riconoscimento, ognuno di questi grandi arbitri ha fatto a suo modo la storia. Ognuno con la sua personalità, ognuno con il suo stile. Perché non esiste un arbitro uguale ad un altro”.
È lunga la strada per arrivare in Serie A, un cammino che parte dai campetti di periferia e che richiede tanta tenacia e perseveranza. Ma soprattutto passione, l’unica vera spinta per superare quegli ostacoli che ogni arbitro incontra domenica dopo domenica: “Sicuramente bisogna fare tanti sacrifici, ma le soddisfazioni sono tantissime. Ogni volta che fischi l’inizio di una partita, che sia un match di Promozione o la finale del Mondiale, ti metti in gioco. E’ una sfida con se stessi. La personalità è fondamentale, ma si può formare con il tempo. Un arbitro deve avere innanzitutto un profondo senso di giustizia, deve essere onesto intellettualmente ed essere innamorato del calcio”. Un amore che sboccia da bambini, quando la rinuncia a calciare un pallone può essere il primo passo per un ingresso nel mondo del calcio da un’altra porta, non per questo secondaria: “Avevo quindici anni, giocavo a centrocampo ma senza avere grandi prospettive. E così ho deciso di restare in campo ma con un nuovo punto di vista. Arbitrare è una droga, quando inizi non vuoi più smettere. Chi ha fatto l’arbitro resta arbitro tutta la vita”. Lo sa bene Rocchi, che ha appeso il fischietto al chiodo solo un anno e mezzo fa per tuffarsi quasi subito in una nuova impegnativa avventura nel ruolo di designatore della CAN A e B: “È molto più difficile che dirigere una partita. Quando arbitri devi pensare solo alla tua gara, adesso invece ad ogni giornata sono responsabile di 10 partite di Serie A e 10 di Serie B. E quando uno dei ragazzi sbaglia è come se quell’errore lo avessi commesso io”.
Non esistono arbitri infallibili, esistono invece tanti giovani direttori di gara promettenti che come i giovani calciatori hanno bisogno di tempo per crescere: “Sono ottimista, ci sono molti ragazzi bravi che hanno voglia di imparare e mettersi in gioco. Anche io, Collina, Rosetti e Rizzoli abbiamo incontrato delle difficoltà all’inizio. Bisogna dar loro fiducia, con l’auspicio che non sentano questa fiducia solo dalla Federazione, ma anche dai club”.
Ci sono tre momenti di svolta nella carriera di Gianluca Rocchi, tre tappe fondamentali di un lungo viaggio partito da Firenze nel lontano 1988: “Il primo Roma-Lazio del 2007 – racconta – poi Spagna-Portogallo, la prima delle tre partite che ho diretto nel Mondiale russo, e la finale di Europa League del 2019 tra Chelsea e Arsenal, il massimo per un amante del calcio inglese come me. Non a caso ho deciso di lasciare come cimelio al Museo del Calcio la divisa che ho indossato quel giorno”. C’è spazio anche per un rimpianto: “Ho diretto una finale di Europa League e una Supercoppa Europea (nel 2017, ndr), mi è mancata la finale di Champions League”.
Un arbitro è anche uno spettatore privilegiato, che ha la possibilità di ammirare da vicino il gesto tecnico di un grande campione: “Ero dietro a Cristiano Ronaldo quando calciò la punizione del 3-3 contro la Spagna al Mondiale dando un effetto incredibile per superare la barriera e infilare il pallone sotto l’incrocio dei pali. Mi è rimasta impressa poi una giocata straordinaria di Messi in una partita di Champions League contro l’Apoel Nicosia, quando partì dalla sua area e scartò come birilli sei o sette giocatori”.
Detto che il VAR ha rappresentato una svolta epocale (“forse non ci si rende conto di quanta giustizia in più abbia portato nel calcio, tornare indietro sarebbe assurdo”), la divisione delle carriere per arbitri e ‘varisti’ potrebbe favorire un ulteriore salto di qualità: “Arbitrare o stare al monitor sono due mondi diversi –sottolinea Rocchi - più specialisti VAR avremo in futuro e più alzeremo il livello”. E chissà se in un prossimo futuro non si arriverà davvero al tempo di gioco effettivo, forse l’unica possibile soluzione di fronte agli ultimi dati, secondo i quali in questa stagione in Serie A il tempo effettivo è stato di poco superiore al 50%: “Sono assolutamente favorevole, sia per un discorso di giustizia, dato che tutte le squadre avrebbero così lo stesso minutaggio nell’arco di un campionato, sia perché come classe arbitrale non avremmo più problemi a gestire le perdite di tempo”.