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TATIANA ZORRI, L'AZZURRO NEL CUORE: UNA STORIA DA RACCONTARE

lunedì 12 marzo 2007

TATIANA ZORRI, L'AZZURRO NEL CUORE: UNA STORIA DA RACCONTARE

Nel mondo delle donne che tirano calci al pallone, c'è una storia che merita di essere raccontata. E' quella di Tatiana Zorri, 30 anni, una faccia solare e 100 presenze con la maglia azzurra appena festeggiate. "E' un sogno che si avvera - spiega la giocatrice del Torino - i sacrifici che corrispondono alle motivazioni, una porta che si apre e ti permette di guardare lontano. Tanti anni fa, quando giocavo nel Sora dove ho iniziato la carriera e dove sono nata, disputai un'amichevole contro la Lazio: in campo c'era Carolina Morace, uno dei miei idoli, che a fine partita mi disse "ragazzina, io e te ci rivedremo presto in Nazionale". Non riuscivo a crederci".Ed invece così è stato. Tatiana, che nel Sora giocò addirittura sotto falso nome perché era troppo giovane per la serie C, ha esordito in serie A a 15 anni con la maglia della Lazio e a 16 in Nazionale. "Era il 29 ottobre 1994 - ricorda - il giorno del matrimonio di mia sorella. Ci tenevo tanto ad esserci, siamo una famiglia molto unita ma la Nazionale significava l'appuntamento con la mia vita e non potevo mancare. Da quel giorno ho saltato anche il matrimonio di uno dei miei fratelli, feste, compleanni, ma ho avuto due genitori che mi hanno sempre sostenuto in questa mia scelta e che hanno condiviso con me anni di sacrifici. Sono uscita di casa a 15 anni, mi sono trasferita da un paesino ad una grande città: queste cose si fanno solo quando si è spinti dalla passione e quando credi in quello che fai. Ho avuto tante soddisfazioni, ma anche il rammarico di aver abbandonato gli studi e quello più grande di non aver potuto condividere con mio padre la gioia delle 100 presenze in azzurro".Tatiana è la più piccola di cinque figli, una sorella e tre fratelli che leggono in lei quelle ambizioni e quei sogni spezzati dalle necessità. "A 3 anni - racconta ancora Zorri - ero la mascotte della squadra di calcio del mio paese; ne avevo 6 o forse 7 quando andavo a giocare a pallone con i miei fratelli che mi consideravano una di loro. Sentivo che quella era la mia strada, anche se dovevo superare tanti ostacoli. L'ambiente del calcio femminile viene dipinto all'opposto di quello che realmente è. Siamo un gruppo che lotta, che si rispetta e soprattutto siamo donne. Non mi sento privata della mia femminilità perché rischio di rompermi un ginocchio o di perdere un dente come mi è successo. Da un anno vivo una storia bellissima con Luca, che con il calcio non c'entra nulla, ma appena può viene a vedermi giocare. Siamo una coppia a ruoli invertiti, ma a noi sta bene così". Il matrimonio e la maternità devono aspettare. "E spero che ne valga la pena. Noi donne del calcio stiamo lottando per qualcosa da cui siamo ancora molto lontane. Dobbiamo ancora capire quale è la strada giusta da prendere. Forse dovremmo metterci sullo stesso filone di squadre come Francia, Inghilterra, Olanda che sono riuscite a compiere il salto: ma l'Olanda, per esempio, ha 90.000 tesserate, in Italia ce ne sono appena 9.000 e il percorso è ancora lungo. Ho trent'anni, conto di giocare i prossimi Europei e poi chissà. Vorrei insegnare nelle scuole calcio, portare il messaggio che è stato trasmesso a me tanti anni fa: la passione, la voglia di lottare, la determinazione. Sono tifosa del Milan, Donadoni è stato il mio idolo: guardare al calcio maschile è un'utopia, perché la nostra è una realtà segnata dalla mancanza di cultura per questo sport. Prima o poi smetterò di giocare, ma continuerò a lottare per quello in cui ho sempre creduto".