Attualità

Convegno sulla tutela sanitaria dei dilettanti. “La persona prima dell’atleta”

lunedì 26 settembre 2011

Convegno sulla tutela sanitaria dei dilettanti. “La persona prima dell’atleta”

“Prima ancora dell’atleta, c’è la persona”. Il problema della tutela sanitaria, in termini di educazione alla salute e prevenzione nell’ambito dell’attività sportiva, in particolare nel settore dilettantistico, è stato il tema del convegno di medicina dello sport organizzato a Roma dall’Associazione Italiana Calciatori. Un principio sancito dall’Articolo 3 dello Statuto della Federcalcio che, attraverso il proprio impegno nell’ambito della prevenzione e della ricerca, certifica la volontà istituzionale di individuare come centrali i temi della tutela dell’individuo e della prevenzione finalizzata ad un corretto approccio all’attività calcistica.
Al convegno, coordinato dal prof. Piero Volpi, hanno partecipato tra gli altri il Presidente della FIGC Giancarlo Abete, il Vicepresidente vicario e Presidente della LND Carlo Tavecchio, il Presidente dell’AIC Damiano Tommasi, il Prof. Paolo Zeppilli Responsabile della Sezione Medica del CTF, il Presidente della FIMS Dott. Maurizio Casasco, il Prof. Giuseppe Capua Presidente della Comm. Nazionale Antidoping FIGC. Numerosi gli aspetti affrontati dai relatori: l’importanza della diagnosi preventiva, con particolare attenzione alla cardiologia e ai rischi cardiovascolari, l’uso e abuso dei farmaci, la traumatologia, il ruolo delle società sportive.
La cultura della prevenzione a partire dalla famiglia visto che, con la fine della leva obbligatoria e della visita medica scolastica nella scuola primaria, non esiste più uno screening preliminare istituzionalizzato su una larga base sociale. L’unica attività, allo stato attuale, è demandata, per legge, alla visita medico-sportiva. “Con questa iniziativa abbiamo voluto dare un messaggio di assunzione di responsabilità, cercando contestualmente di mettere dei paletti nei confronti delle Istituzioni – ha detto Abete nel corso del suo intervento introduttivo – E’ vero che, se lo Stato riduce il suo intervento, i soggetti privatistici debbono assumersi i propri impegni, ma spesso risulta difficile interpretare le difficoltà di rapporto tra le ASL e i medici sportivi delle società in relazione ad un rapporto di responsabilità diffusa sull’idoneità sportiva. Noi abbiamo un dovere di vigilanza nei confronti delle società di calcio, le quali a loro volta hanno il dovere di verificare e certificare che la visita medica sia stata effettivamente compiuta dall’atleta”. “Lo sport può e deve esercitare un ruolo crescente di sorveglianza, ma nei limiti delle proprie possibilità e nel rispetto delle titolarità conferite alle strutture sanitarie pubbliche” – ha concluso Abete, ricordando l’impegno della FIGC su antidoping e sul versante della lotta alla SLA.
L’impegno del calcio dilettantistico in tema di prevenzione è stato sottolineato dal Vicepresidente Tavecchio: “Sono ben 170 le società dotate di defibrillatori, ma non basta. Servono iniziative di formazione, personale qualificato e un’assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni anche per ciò che riguarda l’impiantistica nei cui confronti gli investimenti per realizzazione e messa a norma rimangono insufficienti”.
Come ricordato dal Dott. Casasco, l’Italia è stato il primo Paese al mondo a dotarsi di una scuola di specializzazione in Medicina dello sport (1957) e di una legislazione specifica in materia, e costituisce a tutt’oggi un punto di riferimento in termini di cultura, competenze, strutture e leggi sulla tutela degli atleti con tutte le conseguenze del caso.  “La visita medico sportiva è uno dei punti fermi nella vita di un ragazzo, al quale a volte non viene data la giusta importanza – ha affermato Damiano Tommasi, che ha richiamato il caso di morte improvvisa del calciatore Antonio Puerta, vissuto durante la sua esperienza in Spagna -. È importante per i ragazzi potersi confrontare con una visita approfondita: l’obiettivo è esaminare e affrontare il problema in maniera strutturale in modo che divenuti una prassi e un’abitudine costruttiva”.
L’anno prossimo saranno 30 anni dall’introduzione della visita medico sportiva agonistica resa obbligatoria dal D.M. del 28 febbraio 1982, un dispositivo di controllo e prevenzione che vede coinvolti in Italia i soggetti agonisti a partire dal 12 anno di età, con circa 6 milioni di controlli annui di cui circa 10.000 per l’alto livello. Le patologie cardiovascolari rappresentano l’80% dei casi di non idoneità agonistica. “Anche il CIO e la Società Europea di Cardiologia riconosce come importante questo screening il cui costo base si aggira tra i 35-50 Euro – ha affermato il prof. Zeppilli, cardiologo - L’incidenza dei casi di morte improvvisa in Italia è di 1-2 ogni 100.000 atleti, e oltre l’80% di essi si è verificato nel basso livello, perché sono ancora troppi i soggetti che non svolgono la visita medico sportiva e utilizzano, grazie a medici compiacenti, un certificato di comodo. Mi preme ricordare che negli USA, dove non si fa prevenzione, l’incidenza della cardiomiopatia ipertrofica è del 45% mentre in Veneto è solo l’1%. Un elettrocardiogramma può essere già sufficiente a rilevare delle anomalie come questa che si sviluppano nell’adolescenza e sono a trasmissione genetica. I casi citati di Puerta e De La Red, accaduti di recente in Spagna dove i parametri di prevenzione sono insufficienti, si sarebbero potuti prevenire con un semplice screening”.