Giudizio e responsabilità disciplinare - art. 4, comma 1, CGS - principi di lealtà, correttezza e probità - occorre specificare la condotta tenuta

Non vale a “sanare” l’incompletezza della contestazione (rectius: la sua irrilevanza per indeterminatezza: cfr. ex multis Cass. pen. Sezione 6, sentenza n. 44394 del 25.9.2019, dep. 30.10.2019, in riferimento agli artt. 429, comma 2 e 552, comma 2, CPP), il richiamo, pur contenuto nel capo di incolpazione, all’art. 4 CGS. Tale norma pone a carico dei soggetti indicati dall’art. 2  l’obbligo del rispetto dello Statuto, del CGS e del NOIF; contiene anche la prescrizione di osservare “i principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile alla attività sportiva”. Si tratta di “imperativi comportamentali” molto ampi e generici; essi sono certamente compatibili con l’impianto (e si vorrebbe dire con lo “spirito” stesso) di un ordinamento sportivo, atteso che lealtà, correttezza e probità devono connotare tutte le condotte che in tale ambito si sviluppano (dal sano agonismo degli atleti, alla puntuale attività amministrativa e contabile dei dirigenti, dalla correttezza degli arbitri fino – naturalmente – alla assoluta indipendenza degli organi di giustizia). Invero, la volontaria inclusione nell’universo sportivo comporta (o addirittura presuppone) l’accettazione di tali regole. Quando, tuttavia, si tratta di formulare un addebito disciplinare, è necessario - proprio per assicurare l’effettivo esercizio del diritto di difesa - indicare quale tra le predette direttrici di condotta sia stata violata e in qual modo. In sintesi: non basta la mera citazione dell’art. 4 nel capo di incolpazione, ma occorre indicare in concreto la condotta tenuta, così come, ad esempio, in campo penale, nel formulare un addebito di responsabilità per colpa, non basta affermare che il soggetto ha agito con negligenza, imprudenza o imperizia, ma occorre descrivere le condotte che in concreto integrano tali atteggiamenti psicologici. Né può trovare applicazione “sanante” il dettato dell’art. 106 CGS. Esso, invero, consente alla Corte federale, tra l’altro, di valutare diversamente (scil. da quanto fatto in primo grado) le risultanze in fatto o in diritto ed eventualmente anche di aggravare la sanzione, non vigendo il divieto della reformatio in pejus (comma 2). Tuttavia, a parte il fatto che la rivalutazione deve avvenire sulle “risultanze” del primo grado (dovendo quindi anche il secondo giudice agire nel perimetro della contestazione), resta il fatto che, in base al comma 1, la Corte “ha cognizione del procedimento di primo grado limitatamente ai punti della decisione impugnati” secondo il principio del tantum devolutum quantum appellatum

Stagione: 2020-2021

Numero: n. 117/CFA/2020-2021/B

Presidente: Torsello

Relatore: Fumo

Riferimenti normativi: art. 4, comma 1, CGS

Articoli

  1. I soggetti di cui all'art. 2 sono tenuti all'osservanza dello Statuto, del Codice, delle Norme Organizzative Interne FIGC (NOIF) nonché delle altre norme federali e osservano i principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all'attività sportiva.
  2. In caso di violazione degli obblighi previsti dal comma 1, si applicano le sanzioni di cui all'art. 8, comma 1, lettere a), b), c), g) e di cui all'art. 9, comma 1, lettere a), b), c), d), f), g), h).
  3. L'ignoranza dello Statuto, del Codice e delle altre norme federali non può essere invocata a nessun effetto. I comunicati ufficiali si considerano conosciuti a far data dalla loro pubblicazione.

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