A Kjær il premio intitolato a Davide Astori: “Felice di poter onorare il suo nome”
Il difensore danese, che quest’estate ha contribuito a salvare la vita a Christian Eriksen, entra a far parte della ‘Hall of Fame del calcio italiano’: “In quei momenti terribili ci siamo comportati da vera squadra, nel primo soccorso la velocità è cruciale”. E sul futuro: “Sogno di vincere lo scudetto col Milan”martedì 12 aprile 2022
È uno dei difensori più forti del campionato italiano, ma la giocata più importante della sua carriera Simon Kjær l’ha fatta senza toccare il pallone. E non ha salvato solo un gol, ma una vita. È il 12 giugno 2021 e allo Stadio Parken di Copenaghen si gioca Danimarca-Finlandia, primo match del Gruppo B del Campionato Europeo. Al 43’ del primo tempo, sugli sviluppi di una rimessa laterale, Christian Eriksen si accascia improvvisamente a terra: lo stadio ammutolisce, la situazione sembra disperata. Ma Simon ha la forza e la lucidità per prestare subito soccorso al suo compagno di squadra, vittima di un arresto cardiaco, contribuendo a salvargli la vita. Un gesto per il quale è stato insignito insieme allo staff medico della nazionale danese dell’UEFA President’s Award e per il quale ha ricevuto il premio della ‘Hall of Fame del Calcio Italiano’ dedicato a Davide Astori: “Ricordo molto bene Davide in campo – dichiara il difensore del Milan - e ovviamente ricordo bene anche la sua tragica fine. Sia Pioli sia i miei compagni mi hanno parlato di lui, so che la sua morte è stata scioccante per tutta Italia e per tutto il mondo del calcio. È una tragedia che rende ancora tristi, e che lo farà per sempre. Ricevere il premio dedicato a Davide significa molto, mi rende felice e orgoglioso; per me è un’opportunità di onorare il suo nome”.
Ma torniamo a quel pomeriggio del 12 giugno, quando tutto il mondo del calcio è rimasto con il fiato sospeso: “Alcune cose e alcuni momenti di quel giorno rimarranno con me per sempre – ricorda Kjær - la cosa principale però è che ora Christian stia bene, che sia tornato assieme alla sua famiglia e in campo, e che abbia ripreso a fare la cosa che ama di più, ovvero giocare a calcio. In quei momenti terribili ci siamo comportati da vera squadra, ognuno di noi ha fatto il massimo per aiutare un nostro compagno e un nostro amico. Devo ammettere però di aver chiuso quel capitolo, e di non aver nemmeno troppa voglia di parlarne ancora. Ciò che è avvenuto quel giorno a Copenaghen è il risultato dello sforzo comune di giocatori, medici, paramedici e staff. In quel momento, tutti noi eravamo lì per Christian. Ma per parlarne qui, con gratitudine verso la FIGC e per mostrare il mio rispetto a Davide Astori e onorare la sua eredità, per questa volta ho deciso di riaprire nuovamente questo capitolo”.
Un difensore a volte non ha il tempo di riflettere. Deve affidarsi al suo istinto, quell’istinto che ha permesso a Kjær di farsi trovare pronto anche in una situazione del tutto imprevedibile: “Quando stavo correndo in direzione di Christian non avevo idea, così come nessuno dei miei compagni, che avesse avuto un arresto cardiaco. L’unica cosa a cui pensavo era di raggiungerlo il più in fretta possibile e di aiutarlo. Ho imparato che è questa la cosa più importante. Se vedi qualcosa di strano devi agire, e devi farlo in fretta. Nel primo soccorso la velocità è cruciale. Fare quello che si è in grado di fare, e farlo velocemente, e poi lasciare che se ne occupi un professionista il prima possibile. Quel giorno siamo stati fortunati, perché medici e paramedici erano davvero vicini”.
Giusto riconoscere la straordinarietà di un gesto, ma guai a dimenticare che al grande spessore morale dimostrato in quell’occasione e non solo, Kjær aggiunge delle qualità tecniche fuori dal comune. Come testimonia una carriera che lo ha visto crescere in Italia, dove ha indossato le maglie di Palermo, Roma e Atalanta fino a diventare un punto fermo della difesa del Milan e della nazionale danese: “In Serie A mi sento a casa – conferma - mi è piaciuto giocare ne ‘La Liga’ con il Siviglia, ma quando ho avuto la possibilità di rientrare in Italia non ci ho pensato due volte. E ora, lo dico con il cuore, sono felicissimo di essere al Milan. A volte i sogni si avverano: ricordo che tanti anni fa, quando ancora giocavo a Palermo, dissi al mio agente che mi sarebbe piaciuto tantissimo farlo nel Milan. E ora eccomi qui. La Serie A mi piace, così come tante altre cose in Italia, che per me è ormai una seconda casa. Il cibo, la cultura, la natura, la gente, e ovviamente anche il calcio. Quello italiano è sempre stato vicino alla mia filosofia, che è quella del gioco di squadra. Siamo tutti individui, ma tutti lavoriamo assieme come un gruppo. Il lavoro di gruppo rappresenta il DNA tattico della Serie A, lo abbiamo visto l’estate scorsa all’Europeo”.
Un Europeo vinto dall’Italia e che ha avuto tra le sue grandi protagoniste la Danimarca, arrivata ad un passo dalla finale: “Quel trionfo è stato l’emblema del lavoro e dell’etica di gruppo e la dimostrazione di quali risultati sia possibile ottenere attraverso di loro. È stato davvero impressionante vedere l’Italia vincere. A livello personale ero ovviamente deluso per la sconfitta ai supplementari in semifinale contro l’Inghilterra: sarebbe stato bellissimo poter affrontare nella finale di Wembley proprio l’Italia, che mi ha dato così tanto e che è il mio secondo Paese”. E sono diversi i calciatori Azzurri che Simon ha incontrato sulla sua strada, sia da compagni che da avversari: “Se penso a giocatori italiani dal profilo internazionale, non posso non menzionare Donnarumma, un portiere fantastico con il quale sono stato felice di condividere parte della mia esperienza al Milan. Anche Verratti, che per me è uno dei migliori tre al mondo nel suo ruolo. E poi mi ha sempre fatto impressione Chiellini, che è uno dei migliori in assoluto in fase difensiva”.
Per fare strada nel mondo del calcio è importante incontrare i tecnici giusti, capaci di coltivare un talento e di aiutarlo nel suo processo di maturazione: “Mi sono lasciato ispirare da tutte le persone che ho incontrato lungo il mio cammino – racconta il difensore rossonero - e, se parliamo di allenatori, in questo momento sono molto fortunato ad avere l’opportunità di lavorare con Stefano Pioli nel mio club e Kasper Hjulmand in nazionale. Ho un bellissimo rapporto con entrambi, sono ottimi tecnici e grandi persone, provo a imparare da loro ogni giorno e in ogni modo. Sono molte le figure che hanno saputo ispirarmi e vorrei ricordare anche i tecnici e le persone a me vicine durante la mia gioventù in Danimarca. Mi hanno insegnato la cosa più importante di tutte: che bisogna sempre voler imparare, crescere e spingere se stessi in tutti i modi possibili. Nel calcio di alto livello, la sfida è sempre con se stessi. Io cerco sempre di pensare che oggi voglio essere migliore di ieri, e che domani vorrò essere migliore di oggi. Bisogna sempre alzare l’asticella, spingersi al limite, mantenere fame e desiderio, e metterci tutta la propria passione per cercare di migliorare. Nel calcio professionistico, l‘allenamento è la chiave di tutto. Più e meglio ti alleni, più sarai in grado di migliorare e meglio giocherai in campo. A me è stato detto quando avevo 15-16 anni e credetemi è la verità. L’impegno in allenamento è il vero segreto”.
E adesso non resta che pensare al domani, con la speranza di recuperare il prima possibile da quell’infortunio che negli ultimi quattro mesi lo ha tenuto lontano dai campi: “Ho ancora tanti sogni e obiettivi, ma il più grande di tutti è vincere lo scudetto col Milan”.