Violazioni in materia gestionale e economica - dirigente di società – fallimento - preclusione dall’assunzione di cariche dirigenziali – art. 21 NOIF – oggetto del giudizio – art. 4 CGS – doveri di lealtà, correttezza e probità
Nel giudizio in tema di preclusione all’assunzione di cariche sociali a seguito di sentenza dichiarativa di fallimento ex art. 21, comma 3, NOIF, oggetto di scrutinio richiesto agli organi giudicanti non è la celebrazione di una sorta di processo parallelo o peggio ancora di processo sovrapposto rispetto alla giurisdizione ordinaria (civilistica o penalistica) connessa al fallimento e alle eventuali responsabilità dei relativi amministratori succedutisi nel tempo ma le condotte, omissive o commissive, dei soggetti deferiti, rispetto alle regole fondamentali che costituiscono presidio della FICG in sé considerata, e altresì presidio della regolarità di gestione delle società sportive e dei comportamenti esigibili nei confronti relativi rappresentanti e soci. Ciò con riguardo al principio del fair play che costituisce l’in sé dell’ordinamento sportivo e culmina in ogni caso nella declinazione dei doveri di lealtà, probità e correttezza richiamati dal Codice di Giustizia Sportiva (in relazione all’art. 21, commi 2 e 3, delle NOIF). La colpa in questione non necessariamente deve riguardarsi sotto il profilo della sua influenza nella determinazione del dissesto della società, ma può più ampiamente concernere anche la scorrettezza di comportamenti (pure in particolare sotto il profilo sportivo) della società. La valutazione volta ad accertare il rispetto dei principi di lealtà, probità e correttezza implica un percorso probatorio e argomentativo in parte diverso rispetto ad un giudizio concentrato sulla esatta violazione delle regole puramente societarie (civilistiche o penalistiche). I doveri di lealtà, probità e correttezza comportano qualcosa di più e al limite anche di diverso rispetto agli obblighi desumibili dagli artt. 2381 e 2932 CC ovvero rispetto alle fattispecie penalistiche o comunque sanzionatorie poste a presidio dei reati societari o fallimentari. A conforto è utile richiamare gli stessi principi interpretativi adottati di recente dallo stesso Collegio di Garanzia, in sede consultiva, con il parere n. 5/2017. Sia pure nell’ambito di un ragionamento più ampio, proprio il Collegio di Garanzia ha chiarito che, “in ambito sportivo, l’ampio e generalizzato consenso che ricevono le clausole generali di lealtà e correttezza si ricava agevolmente dalla lettura di un dato normativo che, ripetutamente, si richiama a principi etici di rilevanza giuridica e morale [...]. È noto che il Codice di Comportamento sportivo [ma ovviamente lo stesso discorso vale a maggior ragione per il Codice di Giustizia Sportiva] è considerato come l’atto attraverso il quale i principi etici acquistano uno specifico rilievo giuridico nel mondo sportivo. In quest’ottica, [...] al principio di lealtà sportiva poteva e può assegnarsi la natura di principio, oltre che prettamente etico, anche giuridico. Siffatta premessa deve ritenersi [...], di particolare importanza. La difficoltà di offrire una definizione esaustiva dei doveri di lealtà, correttezza, probità non impedisce di considerarne la rilevanza dal punto di vista giuridico. La dottrina civilistica non manca, in proposito, di osservare come la clausola generale, nell'ambito normativo in cui si inserisce introduca un criterio ulteriore di rilevanza giuridica, a stregua del quale il giudice seleziona certi fatti o comportamenti per confrontarli con un determinato parametro e trarre dall'esito del confronto certe conseguenze giuridiche. Vero è che la struttura tipica delle clausole generali è quella di norme incomplete che non hanno una propria autonoma fattispecie essendo destinate a concretizzarsi nell'ambito dei programmi normativi di altre disposizioni”. Ed il principio da applicare – prosegue ancora il parere n. 5/2017 del Collegio di Garanzia – è allora che “l’assimilabilità concettuale della lealtà ai principi generali di correttezza e buona fede (Galgano) induce a ritenere che essa debba considerarsi clausola di chiusura del sistema, poiché evita di dover considerare permesso ogni comportamento che nessuna norma vieta e facoltativo ogni comportamento che nessuna norma rende obbligatorio. Questo discorso trova [...] fecondo terreno di applicazione nell’ordinamento sportivo. Non diversamente da quanto accade per l’ordinamento statale – dove il richiamo ai doveri inderogabili di lealtà, correttezza e integrità acquista una caratteristica connotazione giuridica, che affiora proprio dalla necessità di porre limiti a situazioni giuridiche soggettive, alla luce dei valori costituzionali che ispirano l’ordinamento – nel caso dell’ordinamento sportivo, gli obblighi di lealtà, correttezza, non violenza, non discriminazione, appaiono interpretare l’essenza stessa dell’ordinamento, al punto che la loro violazione si traduce nella negazione stessa dei fini cui è rivolta l’attività sportiva”. Dunque, “espressioni come buona fede, correttezza, lealtà appaiono [sì] generiche e vaghe da rischiare di smarrire qualsiasi risvolto pratico, al punto da renderne difficile definire i confini di applicazione. E, tuttavia, la intrinseca flessibilità di questi concetti rinvia alle regole morali e di costume generalmente accettate e, più in generale, ad un affidamento sulla correttezza della condotta che non può non rilevare anche in ambito sportivo. Qui il rispetto degli obblighi di lealtà e correttezza – pur con quei limiti di definizione di cui si diceva – si fa più intenso, proprio in considerazione della peculiarità dell’ordinamento sportivo”. Il principio fondamentale del fair play e più in dettaglio i comportamenti esigibili ai sensi degli artt. 2, comma 2, e 4, comma 1, del vigente Codice di Giustizia Sportiva (già art. 1-bis, commi 1 e 5, del Codice di Giustizia Sportiva in vigore fino al 16/6/2019) sono persino qualcosa in più del puro rispetto delle regole applicabili ad un “qualunque” amministratore. Il Codice di Giustizia Sportiva, del resto, non opera un richiamo (come pure avrebbe potuto) agli artt. 2381 o 2392 CC e dunque alle relative regole attuative o di interpretazione. E neppure ciò accade per lo Statuto della FIGC (art. 19), che invece (e di nuovo) si riferisce a clausole aperte, di “equilibrio economico e finanziario” e di “corretta gestione”. Il giudice sportivo, dunque, non è deputato a valutare le responsabilità ordinarie. E neppure deve dimostrare una perdita economica (giacché una tale dimostrazione neppure è richiesta). Esso deve valutare il rispetto della lex specialis costituente l’ordinamento sportivo. Ed è chiamato a traguardare con tale disciplina speciale – e non con quella ordinaria – se le modalità con le quali “la persona [deferita] si è comportata, o per il contesto nel quale ha agito, [hanno determinato o meno] una compromissione” dei valori cui si ispira l’ordinamento sportivo (principio ancora contenuto nel parere del Collegio di Garanzia n. 5/2017). Questo, dunque, è il giudizio che si chiede al giudice sportivo. In una simile prospettiva, a maggior ragione deve valere quel chiaro orientamento per cui “l’inerzia del singolo amministratore, anche se da sola insufficiente ad impedire l’evento pregiudizievole, nell’unirsi all’identico atteggiamento omissivo - sia esso colposo o doloso - degli altri componenti dell’organo amministrativo, acquista efficacia causale rispetto al dissesto, o all’aggravamento del dissesto, in quanto l’idoneità dell’opposizione del singolo a impedire l’evento deve essere considerata non isolatamente, ma nella sua attitudine a rompere il silenzio e a sollecitare, con il richiamo agli obblighi imposti dalla legge ed ai principi di corretta amministrazione, un analogo atteggiamento da parte degli altri amministratori” (così Cassazione Penale, Sez. V, 27 febbraio 2019, n. 8544).
Stagione: 2021-2022
Numero: n. 4/CFA/2021-2022/A
Presidente: Cardarelli
Relatore: Scordino
Riferimenti normativi: art. 21, comma 3, NOIF; artt. 2, comma 2 CGS; art. 4, comma 1, CGS
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Art. 2 - Ambito di applicazione soggettivo
1. Il Codice si applica alle società, ai dirigenti, agli atleti, ai tecnici, agli ufficiali di gara e ad ogni
altro soggetto che svolge attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o
comunque rilevante per l’ordinamento federale.
2. Il Codice si applica, altresì, ai soci e non soci cui è riconducibile, direttamente o
indirettamente, il controllo delle società, alle persone comunque addette a servizi delle
società stesse e a coloro che svolgono qualsiasi attività all'interno o nell'interesse di una
società o comunque rilevanti per l'ordinamento federale.
Art. 4 - Obbligatorietà delle disposizioni generali
- I soggetti di cui all'art. 2 sono tenuti all'osservanza dello Statuto, del Codice, delle Norme Organizzative Interne FIGC (NOIF) nonché delle altre norme federali e osservano i principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all'attività sportiva.
- In caso di violazione degli obblighi previsti dal comma 1, si applicano le sanzioni di cui all'art. 8, comma 1, lettere a), b), c), g) e di cui all'art. 9, comma 1, lettere a), b), c), d), f), g), h).
- L'ignoranza dello Statuto, del Codice e delle altre norme federali non può essere invocata a nessun effetto. I comunicati ufficiali si considerano conosciuti a far data dalla loro pubblicazione.